04.04.2022

La crisi non è un sinonimo di fallimento.

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Il miglioramento del diritto fallimentare ha avuto come scopo principale quello di rendere più facile e semplice il risanamento dell’impresa in crisi, dando valore agli strumenti negoziali stragiudiziali, al fine di poter tutelare la reale capacità aziendale. In questo articolo troverete un breve riassunto degli strumenti posti a disposizione dal nostro sistema giudiziario, esaminando le particolarità più importanti.
 
Uno degli obiettivi principali della riforma è quello di poter evitare di ricorrere ai procedimenti fallimentari per degli individui che si trovano in una situazione di crisi, tutelando anche il valore dell’azienda. Le norme giuridiche disciplinano tre differenti procedimenti, tutti e tre finalizzati ad amministrare e affrontare con successo la crisi.
 
Fondamentale per l’azienda è predisporre un piano di risanamento, tramite il quale è possibile determinare i motivi per i quali si è arrivati alla crisi: si cercano le possibili soluzioni e si illustrano le varie strategie, volte al superamento dei problemi economici e finanziari.
 
I procedimenti sono: il piano attestato di risanamento, l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo.
Il piano attestato di risanamento è disciplinato dall’ex articolo 67 della legge fallimentare: è uno strumento stragiudiziale che consente all’imprenditore, in stato di crisi o di insolvenza, di presentare ai creditori un progetto volto a risanare la propria esposizione debitoria. Presupposto fondamentale del piano attestato di risanamento è dunque lo stato di crisi o stato di insolvenza dell’impresa, che però deve essere recuperabile tramite il piano.
 
Il piano ha come scopo principale quello di proseguire l’attività imprenditoria dell’azienda, e lo fa soddisfacendo i creditori grazie al riordinamento dei debiti e alla sistemazione della parte economica e manageriale dell’impresa. La finalità di questo istituto è proprio quella di garantire la stabilità di atti, pagamenti, e garanzie sui beni del debitore, in caso di fallimento, dal momento che beneficiano dell’esenzione della revocatoria.
 
L’accordo di ristrutturazione dei debiti, disciplinato dall’articolo 182-bis della legge fallimentare, dichiara che l’imprenditore in crisi può richiedere un accordo di ristrutturazione del debito, redatto con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, assieme ad un rapporto sottoscritto da un professionista che verifichi l’accordo e la sua veridicità e fattibilità.
 
Tramite questo accordo il legislatore vuole valorizzare la funzione dell’autonomia privata nella coordinazione della crisi dell’azienda.
Ovviamente i creditori che non aderiscono all’accordo devono essere soddisfatti entro e non oltre i 120 giorni dalla data di omologazione, ovvero dalla scadenza, nel caso di crediti non ancora scaduti.
 
Il concordato preventivo, invece, consente all’imprenditore - dichiarato in crisi - di soddisfare i suoi creditori grazie ad un accordo con questi ultimi, volto ad impedire il fallimento, attraverso la liquidazione del patrimonio o la continuità aziendale.
L’articolo 160 della legge fallimentare indica e precisa le premesse per l’ammissione del concordato preventivo, predisponendo che l’imprenditore abbia la possibilità di istituire un piano di ristrutturazione dei debiti da poter poi sottoporre ai suoi creditori.
A differenza dagli altri due procedimenti, nel concordato preventivo va rispettato il par condicio creditorum e delle eventuali conseguenze ne rispondono sia i creditori aderenti che quelli non aderenti.
 
L’imprenditore può utilizzare il concordato preventivo per poter soddisfare i creditori tramite la liquidazione del proprio patrimonio o anche tramite la continuità aziendale. Possono accedere alla procedura di concordato preventivo tutti gli imprenditori commerciali, collettivi o individuali che si trovano in una situazione di grave insolvenza o di crisi.
 
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